Lunedì torna, il 1° maggio, a ricordarci quanto c’è ancora da fare, che nei diritti conquistati si può anche tornare indietro. Noi, l’abbiamo celebrato con qualche giorno di anticipo, al Pink Coworking, insieme a un nutrito gruppo di persone e a NIdiL CGIL Torino, la categoria del sindacato che si occupa del lavoro autonomo, con l’incontro “Freelance: si nasce o si diventa?“.
Ad avere uno sguardo sovrastante, c’erano tutte le rappresentanze per i diritti: lavoratrici e lavoratori autonomi, con partite iva vere e false, o un po’ vere un po’ false; ibridi tra lavoro dipendente e desideri di autocostruzione; rappresentanti delle istituzioni per la Circoscrizione 1, persone in disoccupazione e in trasformazione; attiviste per il contrasto alla disuguaglianza sociale che passa dal reddito, ultimo grande tabù.
Se Caterina Romeo, coordinatrice al bilancio e al patrimonio e consigliera della Circoscrizione 1, ha ricordato la Costituzione e mi ha ispirato il titolo, perché “il lavoro” è stato sostituito da innumerevoli plurali, Danilo Bonucci, Segretario Generale di NIdiL CGIL Torino ha ricordato i rischi della frammentazione delle lavoratrici e dei lavoratori, molto più ricattabili, e ha descritto i servizi che il sindacato può offrire a tutela dei diritti (compresa l’assistenza legale, contrattuale, fiscale e il recupero crediti) – cosa sconosciuta ai più. L’avvocata Silvia Ingegneri, che con lo studio associato Poli-Ingegneri segue CGIL da tanti anni, ha restituito preziose informazioni per orientarsi in questo mare.
Il personale è politico
Ma la vera ricchezza è venuta dalle domande delle persone presenti, che da un lato hanno restituito una complessità talvolta insostenibile delle singole situazioni, dal confine labile dell'(auto)sfruttamento sistemico, dei rischi del lavoro sociale e culturale “vocazionale”, sul bisogno di strumenti condivisi e di confronto; dall’altro indicano forte e chiaro che, anche in questo caso, tanto più in questo caso, il personale è politico, e l’unica dimensione possibile per avere una visione di futuro – e costruirlo – è quella collettiva. E il valore del collettivo, in una realtà polverizzata come quella del lavoro autonomo, nella mia esperienza di comunità aperte, si rende percepibile in movimenti alternati tra il coinvolgimento uno a uno e uno-gruppo, un moto ondoso creativo dal complicato, discontinuo andamento. Dal riconoscere se stesse, e con la disponibilità alla consapevolezza e ai relativi costi sommersi.
Un patto per il lavoro?
Oggi lo sviluppo del lavoro autonomo – e sempre più persone pensano al lavoro autonomo come possibile forma di lavoro e reddito, anche a causa di spinte dai decisori politici e finanziari – è sinonimo di precarietà e di lavoro povero, in particolare per donne e giovani. Il Forum delle Partite IVA di NIdiL CGIL nazionale ci parla di numeri spaventosi (e basta guardarsi intorno per scoprire che il problema non è solo il lavoro nero): nell’ambito della Gestione Separata, un reddito medio è di 14.587 €, che scende a 10.912 per gli under 35 (ultimo dato relativo al 2020). Sul gender pay gap, ho trovato dati solo sulle casse delle professioni ordinistiche – e già queste attestano un gap intorno 45%.
Credo sia fondamentale e urgente costruire un’alleanza pubblico-privato e una piattaforma sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici autonome, a livello locale. Altrove in Europa e in Italia è stato fatto.
Riusciamo a mettere insieme i e le freelance, le istituzioni, i sindacati, le imprese e le organizzazioni private, a partire da quelle nativamente di interesse generale (imprese sociali, ets, b-corp) per un patto per il lavoro dei e delle freelance in Gestione Separata nel campo della cultura e del sociale a Torino? Riusciamo a determinare insieme un equo compenso e a ripensare i bandi e le gare che costringono le organizzazioni allo stress e al sistematico sfruttamento proprio in segmenti del lavoro di cura a prevalenza femminile e precaria?
Parto dall’assunto che, se c’è la tutela dei diritti delle libere professioniste, è l’intero mercato del lavoro a beneficiarne, e la società tutta. Torino molto si narra come capitale dell’impatto sociale e dell’innovazione a partire dall’economia civile come tratto portante e distintivo della città: partiamo da qui, dal lavoro di cura delle persone che hanno un nome e un cognome, un lavoro, anzi dei lavori, che nutrono questa immagine, e che la concretizzanno ogni giorno.