Dedichiamo al lavoro molte ore delle nostre giornate, oltre a progettualità, competenze, energie. Succede quindi che proprio sul lavoro, inteso come attività ma anche come spazio fisico condiviso, esprimiamo la nostra unicità, il nostro modo di guardare e affrontare le cose, la nostra identità.
E se per questo lavorare insieme ogni tanto è faticoso, per alcune persone lo è di più.
Si chiude il mese di giugno, che è ormai da tempo dedicato alle rivendicazioni della comunità LGBTQIA+ e alla riflessione sui temi che la coinvolgono. Un mese in cui, molto spesso, tocca assistere a operazioni di puro marketing da parte delle aziende; che cavalcano volentieri l’occasione di proporsi all’attenzione di un target che fa gola. Ma molto più di rado hanno la determinazione necessaria per mettersi in gioco, guardare al proprio interno e capire se e come le istanze della comunità sono accolte.
Una delle ambizioni del Pink Coworking è, da sempre, essere un laboratorio in cui si sperimenta intorno alle dinamiche del lavoro. Dove far fiorire esperienze con cui contagiare gli altri spazi del lavoro. Dove, ad esempio, attraverso il contributo delle persone queer possiamo cogliere molte più sfaccettature di potenzialità e problemi che convivono nel mondo del lavoro attuale. E immaginare strade per un’innovazione capace di portare risultati tanto economici che di benessere.
Costanza e Virginia ci aiutano con i loro punti di vista a guardare più in profondità la questione. Oltre che coworkers del Pink, sono entrambe giovani professioniste che stanno costruendo la propria identità lavorativa.
Costanza ha lavorato da dipendente in full remote per un ente no-profit; ora il suo obiettivo è quello di
“ passare all’insegnamento delle lingue ad adulti. Vorrei riuscire a professionalizzarmi nel settore e avanzare in questa carriera appena cominciata, riuscendo magari anche ad occuparmi di formazione sui temi sociali che mi appassionano.“
Virginia ha aperto da pochissimo partita IVA e cominciato il suo percorso da freelance; punta a
“ essere una professionista con dei servizi ben chiari, che viene in mente alle persone quando:
- hanno necessità di rendere i propri testi chiari, accessibili e inclusivi;
- -vogliono uscire dal labirinto di un flusso di lavoro che non è sostenibile.
In più, vorrei riuscire a fare più consulenze e formazioni. Appena ho iniziato l’università avevo ben chiaro che c’era un lavoro che non avrei mai fatto – l’insegnante – ma allo stesso tempo mi piaceva tanto l’idea di formare persone di varie età sui temi che più mi stavano a cuore.“
Le accomuna quindi il desiderio di restituire e rimettere in circolo quello che hanno appreso attraverso i loro studi e le loro esperienze professionali e personali.
Condividono anche un aspetto del loro rapporto con il posto in cui lavorano, un’esigenza che ha trovato risposta nel progetto Pink Coworking:
Costanza
“Lavorare da casa era piuttosto pesante, stavo cominciando a risentirne a livello di salute mentale. Gli altri co-working presenti in città erano tutti fuori budget per me “
Virginia
“Ho scoperto il Pink Coworking mentre cercavo su Internet dei coworking accessibili su Torino. Mi sono trasferita da febbraio a Torino, più o meno nello stesso momento in cui ho aperto la partita iva. Avevo bisogno di uno spazio in cui poter lavorare, diverso da casa mia, perché in casa non riesco a concentrarmi. Torino è piena di coworking ma sono spazi che, per una questione economica, restano inaccessibili per persone che non guadagnano molto …“
Ci sono però altri ostacoli, oltre a quelli di tipo economico, nel poter trovare un ambiente di lavoro adatto a raggiungere i propri obiettivi
Costanza
“Una cosa che mi crea molta fatica è trovarmi a discutere su temi che per me sono dati per scontati, e trovarsi a farlo spesso/ripetutamente. La discussione tiene vive le relazioni ed è parte del processo di costruzione del senso di comunità, ma l’ambiente lavorativo presenta già sfide proprie – lo stress, l’eventuale mancanza di riconoscimento, la paga inadeguata ecc – perciò portare avanti certe battaglie nell’ambiente lavorativo per me a volte crea maggiore disagio che in altri ambienti. A livello strettamente personale, rispetto alla mia identità di persona bisessuale (e spesso “passing” come etero) può creare disagio il coming-out ricercato o obbligato e il rischio di diventare il “token” dell’ufficio è fonte di disagio, anche se per ora non mi è mai capitato in modo troppo difficile da gestire.“
Virginia
“La cosa per me fondamentale è sapere di stare in un ambiente che rispetta la mia identità di persona queer e meridionale. Ho spesso incontrato, nel lavoro, persone che pensano di aver già raggiunto il massimo della decostruzione quando non è così. Nessuna persona è totalmente decostruita, mai; perciò in un ambiente di lavoro mi aspetto di essere rispettata e riconosciuta nella mia identità, ma soprattutto ascoltata e non discriminata. Non possiamo mai metterci totalmente nei panni di chi subisce una discriminazione che noi invece non subiamo. … Un’altra cosa che un po’ mi crea fatica è potermi da un momento all’altro non sentirmi bene, per via della malattia cronica che ho; ci sto mettendo tempo, ma piano piano mi sto scrollando di dosso anche quella infondata colpa che sento per una cosa che non ho scelto e su cui non ho tanto controllo.“
Grazie ai loro occhi vediamo una realtà: spesso gli ambienti di lavoro non sono adatti alle persone. Non sempre ce ne accorgiamo, se non facciamo parte di una categoria che sperimenta una condizione di svantaggio; ma questi problemi hanno impatto su tutte.
Vedere il problema, però, è già un grande passo avanti nel risolverlo. La strada cerchiamo di costruirla insieme tutti i giorni al Pink Coworking, e pare che la direzione sia promettente:
Costanza
“ Da quando ho finito gli studi … ho sempre lavorato in ambienti apertamente antirazzisti e schierati contro le discriminazioni di genere l’omolesbobitransfobia. So che questo non è scontato e penso che sia ormai diventato per un “non-negotiable”! … l’idea progettuale alla base del Pink Coworking mi ha subito affascinato. Si è confermato un ambiente aperto e stimolante.“
Virginia
“Lo spazio del Pink Coworking è stato prima di tutto una scelta felice perché ho trovato un coworking che faceva attenzione al tema dell’accessibilità economica per giovani freelance; in più, ho trovato una community con cui non solo lavorare, ma avere anche scambi e consigli che mi fanno sentire molto meno sola. … Al Pink ho trovato un ambiente in cui, anche con la timidezza iniziale che ho avuto, non mi sono mai sentita discriminata per quella che sono e questo mi fa sentire in un posto sicuro.“
Sono giovani, hanno una formazione solida da spendere e obiettivi professionali molto chiari. In questo momento il loro lavoro non è valorizzato a sufficienza, almeno dal punto di vista economico, e questo rende complesso trovare risorse da investire nei propri progetti. Lavorare da casa è una condizione limitante, ma altrettanto lo è farlo in contesti non preparati a far funzionare la convivenza tra identità; non decostruiti, come dice Costanza.
Questa è l’immagine del mondo del lavoro che ci hanno restituito le voci queer del Pink Coworking, e che a nostra volta condividiamo. Perché questo è parte del valore che il progetto genera e vuole rimettere in circolazione. Perché enti e aziende possono ricavarne un utile indirizzo per migliorare il loro rapporto con tutte le persone che per loro lavorano e di conseguenza la loro efficacia. Perché crediamo che parlare di lavoro e di come strutturare ambienti in cui tuttə riescono ad esprimere a pieno il loro potenziale sia il modo più utile in cui possiamo dare un contributo a questo mese così importante.
Be Proud!
Virginia Ciambriello
Copywriter e UX Researcher