A (very uncommon) Christmas Carol

Uno di questi giorni, in un posto davvero vicino, una donna lavorava.

Il suo era un lavoro importante e lei lo seguiva con attenzione. Scriveva documenti, sbrigava la corrispondenza, faceva telefonate. Ogni tanto si alzava dalla scrivania per andare a prendere un caffè. E scambiava opinioni con le persone che lavorano insieme a lei in una grande stanza con tanta luce.

Ah, quasi dimenticavo. Quella donna è diventata madre da poco; infatti di fianco alla sua scrivania, in una bella carrozzina, se ne dormiva placido il figlio di neanche tre mesi. Quando si svegliava e aveva fame, lei lo prendeva in braccio e lo allattava. Se lui si innervosiva, allora tutt’e due andavano a fare quattro passi nel lungo corridoio. Poi lui si rasserenava e lei tornava a concentrarsi sul suo lavoro.

Il posto di cui ti sto scrivendo non era la casa della madre e del bambino. Era una specie di grande ufficio in cui le persone che hanno bisogno di lavorare con tranquillità e concentrazione fuori dalle loro case, e a cui non piace tanto stare da sole, possono trovare quello che a loro serve.

Nessuna di quelle persone è infastidita dal bambino. Anzi, la sua presenza è una novità che serve a spezzare la monotonia del lavoro quotidiano, e avere di nuovo la compagnia di sua madre è per tutte un vero piacere.

State pensando che questa sia una favola di Natale? o il solito racconto artefatto stile LinkedIn per appiccarci su una morale?

No, è quello che sta capitando nelle ultime settimane al Pink Coworking. Stiamo sperimentando un modello. Che è tutto in divenire, liquido, e si basa “solo” sulla nostra voglia di costruire, insieme, un piccolo laboratorio del lavoro del futuro.

Tutto è capitato, niente è stato davvero programmato. Però, un giorno dopo l’altro, stiamo cominciando a capire che è possibile.

Si tratta di un modello che, a quanto ne sappiamo, non è ancora stato sperimentato. Le aziende in cui le mamme portano con sé i bambini, anche molto piccoli, hanno comunque uno spazio separato per loro, una sorta di nido.

È quindi un intervento costoso, che prevede l’allestimento di uno spazio e soprattutto la presenza di personale dedicato. Nel nostro caso ci pare di capire, almeno per come va finora, che non sempre questo è necessario.

Che in un contesto in cui tutte le persone sono pronte a confrontarsi con esigenze, tempi e modalità delle altre, senza che questo comporti necessariamente sacrificare i propri, sono possibili molte cose che, “sulla carta”, sembrano impossibili.

Può essere questa una soluzione al dato che ci dice che in Italia, oggi, lavora soltanto la metà delle donne tra i 20 e i 64 anni ( il 56,5% per essere più precisə)?

Forse no, forse può però instradare la riflessione nella direzione giusta. Quella che non considera impossibile a priori nulla che non si sia sperimentato.

Come il fatto che una madre torni serenamente al lavoro con il proprio figlio di pochi mesi stando esattamente nello stesso ufficio in cui stava prima; magari con la possibilità di alternare i giorni in presenza con quelli di lavoro da remoto.

Servono solo una piccola area adibita a fasciatoio e lo spazio per il passeggino o la carrozzina. Niente di  troppo complesso, niente di troppo costoso. La cosa più importante è la voglia di provare.

Apertura, comunità, sperimentazione, con il lavoro al centro. Il Pink Coworking si avvicina rapidamente ai due anni di vita e ogni giorno cresce con maggiore forza la sua capacità di produrre innovazione.

Che è una capacità fatta dalle persone che lo abitano, che collaborano e che hanno deciso di dare una possibilità a modi nuovi di approcciare problematiche piccole, piccolissime o gigantesche.

Che la novità è possibile ed è qualcosa che si costruisce unendo le volontà: questo crediamo sia l’augurio più luminoso da lasciarvi per queste Feste.

Chiara Zoia
Chiara Zoia
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